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lunedì 24 settembre 2012

Linguaggio del corpo:Manteniamo le Distanze


Qual è lo spazio giusto tra noi e gli altri? Dipende se siamo maschi o femmine, da chi è l’altro e da dove siamo nati. E anche da regole non scritte alle quali obbediamo senza saperlo. La ragione? Così il cervello non ci fa avvertire un senso di disagio.
L’ascensore è il luogo tipico in cui ci accorgiamo di quanto ci piaccia mantenere le distanze dagli sconosciuti.
Tutto questo è noto da tempo ad antropologi e psicologi che hanno coniato perfino un termine, prossemica, per designare la scienza che studia il rapporto tra uomini e spazi intermedi.
L’iniziatore è l’antropologo americano Edward Hall, il quale pubblicò nel 1966 La Dimensione Nascosta, ancora oggi considerato la bibbia della prossemica. «Hall fa notare che tutti gli individui sono avvolti da una sorta di bolla che regola il proprio spazio personale e che si contrae o si estende a seconda del contesto, delle persone con cui si ha a che fare, del ruolo che si interpreta e così via», spiega lo psicologo Marco Pacori.
Così, il contatto ravvicinato che si può gradevolmente avere con la persona che si ama diventa inaccettabile con un estraneo. Allo stesso modo, certe culture sembrano tollerare forme di vicinanza che altre giudicano eccessive: «Ogni distanza ha le sue regole e la loro violazione causa enormi disagi», dice ancora lo psicologo. Sulla base delle proprie osservazioni, Hall definì quattro tipi di distanza interpersonale:
- 1) Distanza intima: 0-45 cm. – riservata ai contatti fra familiari e partner;
- 2) Distanza personale: 45-120 cm. – destinata ai contatti fra amici e persone conosciute;
- 3) Distanza sociale: 120-300 cm. – caratteristica ai contatti impersonali o d’affari;
- 4) Distanza pubblica: relativa alle distanze mantenute in luoghi pubblici.
Uomo e donna: regole diverse
Successivi studi hanno permesso di stabilire che molte variabili incidono sul modo con cui ci rapportiamo alle distanze.
Spesso non ci facciamo caso, ma la nostra interazione con gli spazi è regolata da una serie intricata di microregole che ci dicono dove dobbiamo stare e a quale tipo di spazio abbiamo diritto. E che siano regole importanti per il nostro benessere psicofisico ce ne rendiamo conto di solito quando non sono rispettate.
Le distanze variano a seconda del sesso, dell’età, della cultura, del grado di conoscenza, della personalità e dell’ambiente. Le donne, per esempio, tendono a interagire fra loro in modo più ravvicinato e intimo rispetto agli uomini i quali tendono a stare più lontani l’uno dall’altro. «La bolla prossemica è, infatti, sferica per le donne, mentre per gli uomini assomiglia più a un’ellisse», fa notare Pacori. Inoltre, le donne tendono a toccare più frequentemente gli interlocutori e a guardarli di più.
Nei maschi la maggiore distanza è determinata anche dal timore che il proprio comportamento possa essere interpretato come incline all’omosessualità. «Gli uomini, inoltre, tendono ad avere una “bolla” interpersonale maggiore e a mantenere la stessa distanza sia con individui dello stesso sesso sia con le donne; queste ultime, invece, tendono a stare genericamente più vicine all’altro, anche se la distanza è minore quando interagiscono con altre donne», dice Pacori. Nei rapporti maschio-femmina, la maggiore o minore distanza rivela il grado di intimità esistente nella coppia: minore è la distanza, maggiore è l’intimità. In alcuni casi, la distanza ridotta può essere anche un indicatore di attrazione reciproca.
Il simile attira il simile
Due persone che passano molto tempo a distanza ravvicinata esprimono, fra l’altro, il grado di interesse che l’uno prova per l’altra. In genere, poi, al di là delle differenze maschio-femmina, più due individui sono o si percepiscono simili più tendono ad accorciare le distanze. Questo spiega anche perché gli individui che non hanno problemi di disabilità tendono, anche inconsapevolmente, a mantenere la distanza rispetto alle persone disabili con le quali hanno l’opportunità di venire a contatto. Lo stesso accade con persone affette da malattie contagiose o particolarmente temute.
In ambito militare, il soldato semplice è tenuto a mantenere una distanza maggiore quando è alla presenza di un ufficiale rispetto a quando è in compagnia di un parigrado. In caso di violazione di questa regola, possono esserci anche conseguenze sanzionatorie.
I bambini al di sotto di cinque anni mantengono distanze ravvicinate quando giocano con i loro coetanei e di solito i stanno a distanza intima anche con i propri genitori dai quali, del resto, dipendono per la loro sopravvivenza. I bambini molto piccoli, inoltre, tendono spesso a comportamenti estremi: aboliscono quasi del tutto le distanze (quando giocano o sono con i genitori) o tendono a nascondersi e stare lontani (quando sono con estranei).
Con l’adolescenza, invece, le cose cambiano. I contatti fisici con i genitori perdono il loro carattere “appiccicoso” e la distanza rispetto a coetanei e adulti diviene maggiore. Emergono le differenze tra maschi e femmine e si sviluppa il senso della privacy e del pudore che condiziona fortemente la gestione dello spazio. «Senza rendercene conto, acquisiamo sin da piccoli un codice che regola la distanza interpersonale», aggiunge Marco Pacori, «impariamo a non stare troppo vicino agli altri e apprendiamo come modificare altri parametri non verbali, quando la distanza tra noi e il nostro interlocutore subisce variazioni. Sembra quasi una danza: uno si avvicina e l’altro arretra di un passo; uno si allontana e l’altro fa un passo in avanti e così via».
Adulti e anziani poi, con l’età, esprimono un maggiore desiderio e quindi un maggiore bisogno di spazio. Tanto è vero che quando un anziano viene ricoverato in ospedale, la prima mancanza che avverte è quella della privacy che viene vissuta come fonte di forte stress.
Cosa accade in ascensore Un’altra variabile importante, quando si parla di distanze, è quella ambientale. È stato dimostrato che quando si trovano in stanze con soffitto basso, le persone avvertono il bisogno di un maggiore spazio personale rispetto a quando sono in locali con soffitto alto. Ugualmente, la distanza che al chiuso sembra troppo ravvicinata, può apparire assolutamente normale all’aperto. La luce aumenta la consapevolezza degli altri. Infatti, in un ambiente bene illuminato, le distanze tra le persone sono maggiori rispetto a quando l’ambiente è buio.
Ecco perché i malintenzionati ne approfittano quando si avvicinano alle loro vittime.
In alcuni contesti speciali, come le chiese, la luce fioca favorisce invece l’introspezione e abbassa il livello di vigilanza nei confronti delle invasioni degli spazi personali. Nell’oscurità del cinema, è facile osservare che le persone “sprofondano” nel loro posto, arrivando a toccare il vicino o comunque a stargli molto vicino. Quando il film finisce, improvvisamente si ricompongono e riprendono le distanze precedenti.
In ascensore, dove è particolarmente avvertita la violazione del proprio spazio, le persone ricorrono a una serie di stratagemmi per non risentire dell’invasione della propria “bolla” personale: per esempio, guardano per terra, osservano i pulsanti che indicano i numeri dei piani o si rifugiano nell’esame meticoloso del loro cellulare che improvvisamente diviene un oggetto mai visto in precedenza! Questi stratagemmi variano da cultura a cultura.
Mentre gli italiani tendono a disporsi a cerchio con la schiena addossata alle pareti, gli americani si mettono in fila con la faccia rivolta alla porta, come è noto anche dai numerosi Film in cui ci sono scene che si svolgono in ascensore.
I Passeggeri della KLM hanno diritto ad un posto vuoto accanto”
E Pensando a come accrescere il comfort dei clienti della propria Business class, la compagnia aerea olandese Klm ha condotto una serie di esperimenti, ripresi poi in video, in cui un attore va a sedersi accanto a un passeggero dell’aeroporto Schiphol di Amsterdam, nonostante l’abbondanza di posti disponibili.
La reazione dei malcapitati passeggeri è invariabilmente identica: si alzano e si allontanano perché avvertono che il proprio spazio personale sia stato invaso. La conseguenza è un aumento dello stress e un senso di fastidio.
Di qui la conclusione della compagnia: i viaggiatori della loro Business class hanno sempre diritto a un posto vuoto accanto a loro.
Sì, perché lo spazio e le distanze contano nella vita delle persone.
A tal punto che la violazione può avere importanti conseguenze sulla salute e il benessere individuali.
Chi sta vicino al prof impara di più
Gli studi hanno dimostrato che la variabile distanza può incidere anche sull’apprendimento scolastico.
In aula, occupare i primi posti, che implicano una minore distanza rispetto alla cattedra, porta gli studenti non solo a dedicare maggiore attenzione alla lezione e a interagire più frequentemente con l’insegnante, ma anche ad avere maggiore autostima, a essere più soddisfatto della scuola e a ottenere voti migliori.
Il che capita perché gli alunni in prima fila sono maggiormente osservati e presi in considerazione dall’insegnante.
La prossemica ha trovato applicazione pure nel mondo del lavoro.
Uno dei fenomeni più indagati è quello degli open space, spazi aperti, che hanno sostituito gli uffici chiusi. Gli studi hanno dimostrato che questa disposizione consente di aumentare la produttività degli impiegati, facilitare la comunicazione e la supervisione del lavoro.
Il rovescio della medaglia è però che chi lavora in un open space è più soggetto a distrazioni e, soprattutto, avverte una maggiore invasione della privacy.
Ciò può avere conseguenze anche gravi: stress, irritabi-lità, aumento della sudora-zione, aggressività, nervosismo, difficoltà a relazionarsi con gli altri.
«Recenti studi suggeriscono che la sensazione di disagio provata in questi casi può dipendere dall’attivazione dell’amigdala, una delle strutture più primitive del cervello, il cui compito è quello dell’autoconservazione», avverte Marco Pacori.
Insomma, la prossima volta, prima di avvicinarci troppo a qualcuno, pensiamoci due volte.
Gli inglesi vogliono stare ad almeno due metri di distanza!
«Possiamo distinguere culture del contatto e culture del non-contatto», osserva lo psicologo Pacori. «La nostra è, come quella americana o tedesca, una cultura del non-contatto, anche se, nel mondo occidentale, la popolazione che esprime in maniera più marcata il valore del non-contatto è quella inglese, dove la distanza personale media è di due metri! All’estremo opposto troviamo la cultura araba, in cui lo spazio personale praticamente non esiste, sconfinando nell’aderenza all’altro».
Nelle società multietniche, si verifica poi un altro curioso fenomeno. Gli immigrati tendono a relazionarsi con quelli della loro comunità a una distanza inferiore rispetto a quando hanno a che fare con la gente del posto o con immigrati di altre nazionalità. E lo stesso accade ai locali. Questi tendono a tenere distanze maggiori quando parlano con gli immigrati.
E dalla distanza si può anche capire il tipo di personalità di chi è di fronte a noi: la distanza a cui avviciniamo gli altri e a cui ci lasciamo avvicinare è legata al nostro umore, alle disposizioni della nostra personalità e al nostro ruolo nella scala sociale», ricorda Pacori. «Anche introversione ed estroversione influenzano la distanza. Gli estroversi violano e lasciano violare la distanza con più disinvoltura degli introversi». Perfino le malattie mentali incidono su questa dimensione. Gli schizofrenici avvertono estrema sofferenza in contesti sovraffollati e sottoposti a frequenti contatti fisici: un disagio che può condizionare le loro capacità sociali.

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