Translate

martedì 25 settembre 2012

Leggende Napoli

La sirena Partenope

Napoli è anche detta Partenope perché la sua origine è legata ad una leggenda secondo la quale la fondatrice della città fu Partenope.
Parthenope (termine che in greco significa  vergine”) era una leggiadra fanciulla che viveva in Grecia, in un paese che si affacciava sul mar Jonio. Dotata di una fervida fantasia, trascorreva molte ore seduta sugli scogli a guardare il mare e sognare altri paesi.da visitare. Amava ricambiata  il giovane Cimone, ma il padre di lei ostacolava il rapporto in quanto l’aveva promessa ad Eumeo.
Un giorno i due giovani decisero di fuggire per non avere più ostacoli al loro amore. Al loro arrivo sulla nuova terra la natura cominciò a produrre una florida vegetazione. Intanto Parthenope venne raggiunta dal padre e dalle sorelle, dai parenti e dagli amici che avevano sentito parlare di tanto di questa terra così amena e accogliente, un vero paradiso. La voce si sparse in Fenicia, in Egitto così moltissimi popoli, caricati i loro averi, i simboli dei loro dei  su piccole imbarcazioni, partirono alla volta di questa favolosa terra.
Costruirono le capanne prima sulla collina, poi man mano che aumentavano i popoli sorsero nuovi centri in pianura e sulla costa. Furono erette botteghe di artigiani, le mura per proteggere la città.Furono costruiti due templi dedicati a  Cerere e Venere, protettrici della città. Intanto Parthenope era divenuta madre di dodici figli, era amata e rispettata da tutti per la pietà, la fedeltà che aveva sempre dimostrata e tutti rispettavano quanto lei stabiliva per legge. La pace regnò sempre su quel popolo che si distinse per l’alto grado di civiltà raggiunto.

'O Munaciello

Molte sono le le leggende popolari e i detti popolani sul personaggio più imprevedibile e strano di Napoli, ‘o munaciello. Il personaggio è esoterico ed è temuto dal popolo per i suoi dispetti ma è anche amato perché a volte fa sorprese gradite che sollevano anche economicamente la situazione di una famiglia. Egli si manifesta come un  vecchio-bambino che indossa il saio dei trovatelli, che venivano ospitati nei conventi. Amante delle donne, leggermente vizioso, è solito palpare le ragazze belle ed in cambio  di questo e/o dello spavento che il suo aspetto scheletrico procura a chi lo incontra lascia delle monete.
La tradizione narra che il nome fu dato nel Cinquecento ad un fanciullo trovatello malaticcio, morto in giovane età famoso per la sua vivacità.
Secondo gli occultisti la storia di questo fanciullo è pura invensione del popolo che volle assegnare aspetti benevoli ad un individuo demoniaco. Infatti secondo la teoria esoterica il munaciello non era altro che una presenza demoniaca del male che, ricorrendo a doni, in realtà ingannava le vittime  cercava di comprare l’anima.
Il popolo ha però esorcizzato la paura e ancora oggi aspetta la visita de ‘0 munaciello che può lasciare del denaro inaspettatamente senza chiedere nulla in cambio.

La “storia” delle origini del Munaciello: 
Verso il 1445, epoca in cui Napoli era governata dagli Aragonesi, Caterine Frezza, figlia di un ricco mercante, s’innamorò di un bellissimo giovane garzone, Stefano Mariconda. L’amore fu contrastato dal padre di lei tanto che un giorno il ragazzo fu trovato morto nel luogo dove era solito incontrare Caterina. La fanciulla si ritirò in convento dove diede alla luce un bimbo deforme. Le suore lo accudirono e gli cucivano vestiti monacali con un cappuccio per nasconderne le deformità. Quando usciva dal convento il popolo cominciò a chiamarlo “lu munaciello”. Col passar degli anni gli furono attribuiti poteri magici tanto da farlo divenire una leggenda.
Un’altra storia sull’origine del nome si riferisce ad un gestore dei pozzi d’acqua che, per questo motivo, poteva accedere facilmente nelle case attraversando i cunicoli che servivano per calare i secchi. Quando non veniva pagato per i suoi servizi egli si vendivìcava facendo dei dispetti agli abitanti della casa.

Il corno portafortuna

Varie sono le notizie sull’epoca e sulle modalità d’uso del corno:
- Intorno al 3500 a.C., età neolitica, gli abitanti delle capanne erano soliti appendere sull’uscio della porta un corno, simbolo di fertilità. La fertilità, allora, era abbinata alla potenza e quindi al successo. Si era soliti  offrire dei corni come voto alla dea Iside affinchè assistesse gli animali nella procreazione. 
- Secondo la mitologia, Giove per ringraziare la sua nutrice le donò un corno dotato di poteri magici.
- Nell’età medievale il corno per portare fortuna doveva essere rosso e fatto a mano. Il rosso simboleggiava la vittoria sui nemici e doveva essere fatto a amno perché ogni talismano acquisisce poteri benefici dalle mani che lo producono.
Il corno è il referente apotropaico (allontanante) per antonomasia: simbolo della vita, che allontana un’influenza magica maligna. Secondo la scaramanzia napoletana il corno deve essere un dono quindi per portare fortuna non deve essere comprato, inoltre deve essere: rigido, cavo all’interno, a forma sinusoidale e a punta.

Il coccodrillo e le prigioni del Castel Nuovo

Il Maschio Angioino ha due locali sotterranei adibiti a prigioni: uno si chiamava“fossa del miglio” un altro “prigione della congiura dei Baroni”. 
Il primo traeva il nome dall’utilizzo che inizialmente se ne faceva infatti era un deposito per il grano, solo in seguito vi furono rinchiusi dei prigionieri condannati a pene severe. Fu allora che prese il nome di “fossa del coccodrillo”. Narra la leggenda che i prigionieri ivi rinchiusi scomparivano all’improvviso; fu allora predisposto un controllo maggiore e si venne a conoscenza della presenza di un coccodrillo che entrava da un’apertura nella parete, azzannava i prigionieri e li trascinava con sé in mare. Pare che l’animale fosse giunto a Napoli seguendo una nave proveniente dall’Egitto. Appurato il fatto, si decise di dare in pasto al coccodrillo tutti i prigionieri che si voleva eliminare senza far sapere niente.
Infine l’uccisione del rettile fu attuata utilizzando come esca una coscia di cavallo.
 Il coccodrillo fu poi impagliato ed appeso sulla porta d’ingresso.
Il caffè


Si narra che un monaco di un monastero dello Yemen aveva saputo dal pastore Kaldi che le sue pecore ed i cammelli, dopo aver mangiato delle bacche, erano diventati molto “vivaci”restando svegli tutta la notte. Il monaco per restare sveglio più a lungo affinché potesse dedicare più tempo alla preghiera si preparò una bevanda con le bacche di cui aveva parlato il pastore e verificò su stesso le proprietà della pianta che liberava da sonno e stanchezza.

Una leggenda narra che un monaco, Abi Ben Omar, rimasto solo durante un viaggio verso Moka perché era morto il suo maestro Schadeli, fu incoraggiato a proseguire il viaggio da un angelo. Giunto in città colpita duramente dalla peste, egli pregò per gli ammalati e ne riuscì a guarire molti. Anche la figlia del re, grazie alle preghiere del monaco, si salvò dalla terribile pestilenza. Il monaco intanto s’innamorò della fanciulla ma il re lo allontanò e lo costrinse a vivere in solitudine sulla montagna. Il monaco cominciò a soffrire la fame e la sete pertanto chiese aiuto al maestro morto che gl’inviò un uccello dalle piume colorate. Svegliato dal canto dell’uccello, il monaco avanzò verso l’animale e vide un albero con fiori bianche e bacche rosse (la pianta del caffè). Attratto dal colore dei frutti li colse e ne ricavò un decotto che offrì come bevanda salutare ai viandanti. Ben presto si diffuse la voce di questa bevanda nel regno ed il re per ingraziarselo lo accolse di nuovo a corte.



 

Nessun commento:

Posta un commento