Poco nominato, questo disturbo del linguaggio compromette seriamente la vita chi ne soffre. Ancora non chiare le cause di una sindrome che colpisce l'1% della popolazione adulta. Ma uscirne è possibile.
Nella mente il concetto da esporre è lucido, cristallino, i pensieri fluenti e consequenziali. Ma l'ansia che sale di fronte l'interlocutore di turno, ingabbia la lingua e frammenta le parole, spezza il respiro. E il discorso diventa un singulto costante che manda in frantumi autostima, voglia di parlare e capacità di relazionarsi, innescando forme di fuga e rifiuto del mondo esterno.
La disfluenza verbale, più comunemente definita 'balbuzie', può compromettere l'intera vita dell'individuo che ne soffre, inquinando sia le quotidiane relazioni sociali che la sfera affettiva, ma anche porre ostacoli non trascurabili nello svolgimento della vita lavorativa. Un disturbo del quale si parla poco perchè permeato, secondo gli operatori di settore, di vergogna e mascheramento: "Una sorta di tabù circonda questa sindrome, tanto da impedire una più ampia e corretta informazione", afferma il dottor Biagio Di Liberto, direttore del dipartimento scientifico del Centro italiano logoterapia dinamica (Cild) di Milano.
I DATI EPIDEMIOLOGICI. La balbuzie, classificata dall'Organizzazione mondiale della sanità come disturbo specifico dello sviluppo, "un disordine del ritmo della parola durante il quale il paziente sa con precisione quello che vuole dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà", secondo le statistiche ufficiali colpisce l'1 per cento della popolazione italiana adulta, con un'incidenza quattro volte superiore tra i maschi rispetto alle femmine, "forse perché la maggiore estensione dell'area del linguaggio nelle donne – secondo la dottoressa Cristina Mastrangeli, responsabile del metodo psico-fonico della struttura terapeutica Villa Benia, con sede centrale a Rapallo, in provincia di Genova- avrebbe un'efficace attività compensativa".
Il fenomeno, però, è molto diffuso soprattutto in età infantile, tra i 2 e i 5 anni: secondo gli studiosi circa un bambino su venti manifesta disfluenze o balbuzie lieve, che tenderebbero però a risolversi con la crescita e la maturazione. Se non gravati da eccessive preoccupazioni da parte dei genitori, in tre bambini su quattro si è riscontrata infatti una scomparsa naturale del problema.
Tuttavia "a 6-7 anni la balbuzie si può cronicizzare per la concomitanza di vari fattori – sottolinea la Mastrangeli-: il confronto con altri bambini che possono prendersi gioco di lui, gli atteggiamenti non adeguati da parte degli insegnanti, l'ansia crescente dei genitori. Il disturbo, allora, si evolve e condiziona molti aspetti della personalità".
L'ORIGINE DELLA BALBUZIE. Anche se non si è ancora raggiunta una certezza scientifica sulle sue cause, è opinione comune e condivisa degli studiosi considerare alla base della sindrome alcuni fattori determinanti, quali la genetica, la familiarità alla balbuzie da parte dei genitori (che conduce ad un'acquisizione del problema da parte del bimbo piccolo), e fattori scatenanti (ambientali e funzionali), emotivo-comportamentali, legati a traumi di natura affettiva, di relazione o organica.
"Il disturbo ha delle ripercussioni emotive, verbali, psicologiche, affettive conseguenti un linguaggio articolato in modo molto faticoso o percepito come tale da chi ne soffre – spiega il dottor Di Liberto del Cild-. La sindrome dunque è multifattoriale e poliforma, stratificata a livelli, con una rilevante componente psicologica e ambientale. Il balbuziente – aggiunge Di Liberto -, è un individuo con una cornice di storia personale e sociale particolare che non può essere generalizzata con nessun altra storia di balbuzie. A confermarlo sono i quasi 4mila pazienti che nel corso degli ultimi vent'anni ho avuto modo di incontrare: anche elaborando classificazioni cliniche, tecniche specialistiche su come si balbetta, resta una malattia assolutamente soggettiva. Per questo vale la pena capire cosa c'è dietro. Questo rappresenta anche un dato di prudenza terapeutica essenziale, in vista di un percorso rieducativo".
LA VITA COMPROMESSA. L'esistenza di chi balbetta viene penalizzata a largo raggio, con conseguenti frustrazioni e pesanti ripercussioni a livello psicologico e relazionale. "La persona influenzata dalle difficoltà verbali si sente limitata nelle aspirazioni e nei rapporti sociali, non riesce ad esprimere le proprie potenzialità – precisa la dottoressa Mastrangeli -,: manifesta forte ansia e tensione anche al solo pensiero di dover parlare. La maggior parte delle persone che presenta questo disturbo lo vive come un tabù, una vergogna da nascondere e mascherare il più possibile all'esterno. Per proteggersi, il balbuziente manifesta frequentemente atteggiamenti di rinuncia, fuga, mascheramento delle difficoltà. A livello emotivo sviluppa spesso rabbia verso se stesso, aggressività mascherata o manifesta verso gli altri, vergogna per le prese in giro, senso di colpa per non essere in grado di esprimersi, tutti fattori che determinano una scarsa autostima. Le reazioni più comuni sono chiusura, rabbia, senso di impotenza, sfiducia, vergogna, imbarazzo, senso di colpa".
IL PERCORSO TERAPEUTICO. Grande volontà e determinazione sono, secondo i terapeuti di settore, le chiavi necessarie per intraprendere un percorso rieducativo (che in genere unisce esercizi fonetici, vocali, ma anche di natura psicologica), capace di condurre progressivamente al miglioramento, se non alla completa eliminazione del problema. Un cammino che si rivela in molti casi complesso, e che richiede impegno costante, anche a casa. Cruciale è, a detta degli studiosi, il contributo dei familiari, spesso chiamati a colloquio con i terapeuti prima o durante il programma di rieducazione.
La disfluenza verbale, più comunemente definita 'balbuzie', può compromettere l'intera vita dell'individuo che ne soffre, inquinando sia le quotidiane relazioni sociali che la sfera affettiva, ma anche porre ostacoli non trascurabili nello svolgimento della vita lavorativa. Un disturbo del quale si parla poco perchè permeato, secondo gli operatori di settore, di vergogna e mascheramento: "Una sorta di tabù circonda questa sindrome, tanto da impedire una più ampia e corretta informazione", afferma il dottor Biagio Di Liberto, direttore del dipartimento scientifico del Centro italiano logoterapia dinamica (Cild) di Milano.
I DATI EPIDEMIOLOGICI. La balbuzie, classificata dall'Organizzazione mondiale della sanità come disturbo specifico dello sviluppo, "un disordine del ritmo della parola durante il quale il paziente sa con precisione quello che vuole dire, ma nello stesso tempo non è in grado di dirlo a causa di arresti, ripetizioni e/o prolungamenti di un suono che hanno carattere di involontarietà", secondo le statistiche ufficiali colpisce l'1 per cento della popolazione italiana adulta, con un'incidenza quattro volte superiore tra i maschi rispetto alle femmine, "forse perché la maggiore estensione dell'area del linguaggio nelle donne – secondo la dottoressa Cristina Mastrangeli, responsabile del metodo psico-fonico della struttura terapeutica Villa Benia, con sede centrale a Rapallo, in provincia di Genova- avrebbe un'efficace attività compensativa".
Il fenomeno, però, è molto diffuso soprattutto in età infantile, tra i 2 e i 5 anni: secondo gli studiosi circa un bambino su venti manifesta disfluenze o balbuzie lieve, che tenderebbero però a risolversi con la crescita e la maturazione. Se non gravati da eccessive preoccupazioni da parte dei genitori, in tre bambini su quattro si è riscontrata infatti una scomparsa naturale del problema.
Tuttavia "a 6-7 anni la balbuzie si può cronicizzare per la concomitanza di vari fattori – sottolinea la Mastrangeli-: il confronto con altri bambini che possono prendersi gioco di lui, gli atteggiamenti non adeguati da parte degli insegnanti, l'ansia crescente dei genitori. Il disturbo, allora, si evolve e condiziona molti aspetti della personalità".
L'ORIGINE DELLA BALBUZIE. Anche se non si è ancora raggiunta una certezza scientifica sulle sue cause, è opinione comune e condivisa degli studiosi considerare alla base della sindrome alcuni fattori determinanti, quali la genetica, la familiarità alla balbuzie da parte dei genitori (che conduce ad un'acquisizione del problema da parte del bimbo piccolo), e fattori scatenanti (ambientali e funzionali), emotivo-comportamentali, legati a traumi di natura affettiva, di relazione o organica.
"Il disturbo ha delle ripercussioni emotive, verbali, psicologiche, affettive conseguenti un linguaggio articolato in modo molto faticoso o percepito come tale da chi ne soffre – spiega il dottor Di Liberto del Cild-. La sindrome dunque è multifattoriale e poliforma, stratificata a livelli, con una rilevante componente psicologica e ambientale. Il balbuziente – aggiunge Di Liberto -, è un individuo con una cornice di storia personale e sociale particolare che non può essere generalizzata con nessun altra storia di balbuzie. A confermarlo sono i quasi 4mila pazienti che nel corso degli ultimi vent'anni ho avuto modo di incontrare: anche elaborando classificazioni cliniche, tecniche specialistiche su come si balbetta, resta una malattia assolutamente soggettiva. Per questo vale la pena capire cosa c'è dietro. Questo rappresenta anche un dato di prudenza terapeutica essenziale, in vista di un percorso rieducativo".
LA VITA COMPROMESSA. L'esistenza di chi balbetta viene penalizzata a largo raggio, con conseguenti frustrazioni e pesanti ripercussioni a livello psicologico e relazionale. "La persona influenzata dalle difficoltà verbali si sente limitata nelle aspirazioni e nei rapporti sociali, non riesce ad esprimere le proprie potenzialità – precisa la dottoressa Mastrangeli -,: manifesta forte ansia e tensione anche al solo pensiero di dover parlare. La maggior parte delle persone che presenta questo disturbo lo vive come un tabù, una vergogna da nascondere e mascherare il più possibile all'esterno. Per proteggersi, il balbuziente manifesta frequentemente atteggiamenti di rinuncia, fuga, mascheramento delle difficoltà. A livello emotivo sviluppa spesso rabbia verso se stesso, aggressività mascherata o manifesta verso gli altri, vergogna per le prese in giro, senso di colpa per non essere in grado di esprimersi, tutti fattori che determinano una scarsa autostima. Le reazioni più comuni sono chiusura, rabbia, senso di impotenza, sfiducia, vergogna, imbarazzo, senso di colpa".
IL PERCORSO TERAPEUTICO. Grande volontà e determinazione sono, secondo i terapeuti di settore, le chiavi necessarie per intraprendere un percorso rieducativo (che in genere unisce esercizi fonetici, vocali, ma anche di natura psicologica), capace di condurre progressivamente al miglioramento, se non alla completa eliminazione del problema. Un cammino che si rivela in molti casi complesso, e che richiede impegno costante, anche a casa. Cruciale è, a detta degli studiosi, il contributo dei familiari, spesso chiamati a colloquio con i terapeuti prima o durante il programma di rieducazione.
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