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mercoledì 5 settembre 2012

"In fondo al mar...", e se i granchi cantassero per davvero?


Come nella versione disneyana della Sirenetta, molti animali marini usano i suoni per comunicare, orientarsi e cacciare. Il gruppo di Bioacustica dell'Iamc-Cnr che studia gli effetti dell'inquinamento acustico sull'ecosistema marino spiega il perché


La musica domina il regno di Tritone, il barbutore gli abissi, padre della Sirenetta di Walt Disney. La voce della bella Ariel, nel film che riadatta la favola di Hans Christian Andersen, incanta tutti e fa innamorare il principe Eric. Ma nella pellicola la canzone più allegra della colonna sonora, amata da tutti i bambini, è intonata da un piccolo granchio rosso, Sebastian.

Per quanto possa sembrare incredibile, sembraproprio che i crostacei, in fondo al mare, cantino davvero. A confermarlo è il gruppo di Bioacustica dell'Istituto dell'ambiente marino costiero (Iamc) del Cnr di Capo Granitola, a Campobello di Mazara in provincia di Trapani, che studia con grande attenzione i suoni generati dagli organismi marini. Un recente studio sulle aragoste, ha infatti dimostrato che quelle della specie 'Palinurus elephas' sono in grado di produrre precisi segnali acustici, per la maggior parte ultrasonici. "Sono emessi soprattutto quando questi crostacei sono attaccati dal predatore, il polpo, e potrebbero servire ad avvertire gli altri del pericolo, per attuare una strategia collettiva di difesa - spiega Giuseppa Buscaino dell'Iamc-Cnr -. In presenza di questi 'segnali', infatti, le aragoste si avvicinano le une alle altre, puntando all'esterno le loro antenne ricche di spine, che formano una barriera fisica molto efficace contro i predatori".



In mare, i suoni si propagano velocemente (circa 1.500 metri al secondo) e possono copriredistanze di migliaia di chilometri. È per questo che molti animali acquatici hanno evoluto sistemi complessi per ricevere e inviare segnali acustici. "I delfini hanno le maggiori capacità di generazione - continua la ricercatrice -, ricezione e analisi dei segnali acustici. Questi mammiferi sono in grado di vedere al buio grazie all'impiego di particolari segnali acustici, detti 'click'". "Nelle acque del Mar Ionio abbiamo visto che alcuni gruppi di questi cetacei hanno imparato ad avvicinarsi alle barche dei pescatori per sfruttare i loro attrezzi da pesca e ridurre gli sforzi di caccia. In particolare - spiega la Buscaino -, durante le azioni notturne di pesca al totano, i delfini impiegano il loro sonar per individuare l'attrezzo luminoso a intermittenza che attira i totani dalle profondità e si immergono solo quando questo arriva, seguito dai totani, presso la superficie. In questo modo faticano meno e catturano più prede".



Anche i pesci impiegano i suoni per comunicare e per orientarsi e percepiscono bene i rumoridi fondo dei differenti ambienti marini. "Abbiamo visto- precisa la ricercatrice - che due specie comuni nei nostri mari, la spigola e l'orata, sottoposti a un rumore simile a quello prodotto dai motori delle navi, alterano il loro comportamento, aumentando la motilità". "Anche se lo studio ha riguardato un periodo di tempo di soli 10 minuti, le analisi del sangue di questi pesci 'allarmati' mostrano l'alterazione di alcuni parametri, che indicano un dispendio di energia superiore al normale".

Ma cosa succederebbe se fossero sottoposti al rumore per tempi più lunghi? Continuerebberoad essere 'agitati' e 'stressati' o si adatterebbero? "Presso i laboratori di Capo Granitola stiamo sottoponendo 270 giovani di orata a differenti tipi di inquinamento acustico. Fra tre mesi, quando la parte sperimentale sarà terminata, saranno misurati gli effetti del rumore sia sulla mortalità sia sull'accrescimento degli individui". "Se gli animali sottoposti al rumore dovessero essere più piccoli di quelli cresciuti in un ambiente più silenzioso - conclude la Buscaino -, potremmo confermare che il rumore può influenzare anche la crescita e forse il corretto sviluppo degli organi".

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